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Quando la buona politica costruiva l’Abruzzo

Scritto da redazione
Remo Gaspari a Bugnara insieme ad un gruppo di giovani locali

Sulmona,2 Settembre – Non mi piacciono i lamentosi ed i piagnucoloni. Non mi piacciono i chiacchieroni. Figuriamoci in politica. Spesso si tratta di atteggiamenti che mirano ad oscurare il vuoto di scelte ed iniziative. Giorni fa in occasione della visita di Renzi ad Aquila il Governatore della Regione ha inviato una “lettera aperta” al Premier indicando le sei priorità dell’Abruzzo (restituzione dei tributi alle imprese aquilane, ricostruzione, uscita dal Commissariamento per la sanità, trivellazioni, connessioni alle reti Tn-T) e le infrastrutture per la velocizzazioneL’Aquila-Pescara attraverso una serie di interventi per ridurre i tempi di percorrenza di venti minuti.

Poi aggiunge “Se si fosse realizzata questa opera negli anni settanta non avremmo avuto il conflitto l’Aquila-Pescara e la duplicazione di sedi e uffici”.Nessun consigliere regionale, nessun parlamentare, nessun partito ha osato aprire bocca in questi giorni per spiegare che non è stato questo tratto di strada (certamente da migliorare e velocizzare) a determinare i conflitti tra le due città in occasione della scelta del Capoluogo di Regione Questa visione del Governatore sulla storia dell’Abruzzo non è veritiera e cozza con la realtà.

Agli inizi degli anni settanta l’Abruzzo non era affatto una regione ma l’unione forzosa di quattro province, sempre in disaccordo fra loro e su tutto. L’Aquila e Teramo erano divise dal Gran Sasso e gli abruzzesi che vivevano nelle due città non conoscevano quello che i propri corregionali facevano dalle parti opposte della montagna; gli ospedali ne esistevano pochi e malfunzionanti. Nel 1970 in coincidenza con l’avvento delle Regioni a statuto ordinario l’Abruzzo ha avviato un fortissimo processo di ammodernamento. Dall’apertura del traforo del Gran Sasso, alla realizzazione di un sitema viario autostradale fra i più efficienti d’Europa, dall’ammodernamento della rete ospedaliera, alla realizzazione del Laboratorio di Fisica nucleare nelle viscere del Gran Sasso, alla realizzazione di un sistema Universitario d’avanguardia.E’ vero che ogni città capoluogo di Provincia ha avuto il suo Ateneo (era questo il rimprovero costante di chi oggi ha memoria corta) però i giovani abruzzesi da allora hanno potuto scegliere di studiare e laurearsi nella propria regione. Erano gli anni in cui le lotte di ambientalisti e forze politiche riuscirono a convincere il Governo nazionale a non realizzare in Abruzzo, nel Sagro-Aventino, quell’industria chimica che l’Abruzzo rifiutò.

E fu proprio agli inizi degli anni settanta che in Abruzzo arrivavano i grandi gruppi industriali (Italtel, Fiat, Sevel, ecc.) e sempre in quegli anni iniziò il grande processo di industrializzazione. Nacquero le Aree ed i Nuclei Industriali e tante altre infrastrutture primarie.In quegli anni l’Abruzzo contava a L’Aquila (Regione) e a Roma (Governo) perchè nell’Assemblea regionale siedevano uomini di grande prestigio culturale e capacità politiche. Da Emilio Mattucci a Giuseppe Bolino, da Alcide Lucci ad Ugo Crescenzi, da Arnaldo Di Giovanni a Marcello Russo, a Giustino De Cecco, a Luciano Fabiani e tanti altri ancora. Nel Governo del Paese l’Abruzzo  poteva contare su due uomini di valore come Remo Gaspari e Lorenzo Natali che sapevano dialogare in maniera costruttiva con gli altri deputati abruzzesi (tutti eletti) da Tancredi, Aiardi, De Cinque, Di Giannantonio, Artese, Susi, Quieti  e soprattutto con il Consiglio regionale. E quando Natali arrivò a Bruxelles il lavoro prezioso della politica abruzzese (Ue-Governo-Regione) continuò per molti anni ancora. L’Abruzzo faceva squadra e risultati.

A Roma questa politica contava perchè sapeva lavorare senza fare troppe chiacchiere.Negli anni settanta la priorità della politica abruzzese non era solo il miglioramento della viabilità sulla Pescara- L’Aquila ma problemi di altre dimensioni. E fu grazie a quel lavoro che qualche anno dopo l’Abruzzo da regione cenerentola divenne prima regione del Mezzogiorno e quel tasso di crescita del PIL portò la nostra regione fuori da benefici comunitari. Certo il riequilibruio del territorio regionale resta ancora un obiettivo da perseguire perché lo sviluppo dev’essere garantito in maniera diffusa.
Ma allora ci si divideva tra  politica adriatica e politica delle aree interne. Argomenti di dimesnioni diverse oggi con le “macroregioni” e le “macroaree”. Oggi il dibattito politico abruzzese è asfittico, il Consiglio regionale paralizzato, lontano dalla gente e non produce leggi. Pochissime finora.Tra chi crede che il futuro dell’Abruzzo si conquista nelle divagazioni dell’Expò e chi crede che occorre affermare un nuovo metodo nel governo della Regione l’estate è fuggita via e l’autunno si annuncia carico di incognite. Siamo all’incredibile.

La cronaca politica di questi giorni è piena di malinconia tra chi ripete da settimane stessi concetti, stesse espressioni, stesse rivendicazioni (metodo, fondi alla cultura e partecipate) e chi non ha il coraggio di dire che il metodo di governo non si contratta ma si pratica e che la politica per la cultura non si risolve assegnando fondi a pioggia, a questa o quella associazione, ma affermando regole precise che vanno scritte tutti insieme nell’assemblea regionale. Così è sempre stato, ovunque, in ogni regione. Se oggi in Abruzzo si vuole fare diversamente, liberi di confondere tra cultura, politica e poltrone. Ma almeno si abbia rispetto per chi l’Abruzzo lo ha costruito davvero già negli anni settanta. O..no?

Giovanni Ruscitti

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