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“Il Dubbio” di Enea Di Ianni, due generazioni a confronto

Scritto da redazione

E’ l’ultimo libro fresco ancora di stampa ma già considerato un vero successo editoriale che ha alcuni grandi pregi: stimola riflessioni, mette a confronto generazioni diverse, utilizza un  un linguaggio semplice ma accattivante,riesce a mettere il lettore a proprio agio, lo rassicura,lo incuriosisce e lo appassiona.

Sulmona,31 dicembre– È stato presentato al teatro Maria Caniglia di Sulmona l’ultimo libro di Enea Di Ianni. “Il Dubbio”, edito da Lupi Editore, vuole mettere a confronto due generazioni lontane anacronisticamente, ma che in fondo oggi si riscoprono mai così tanto vicine. I ricordi di Di Ianni, legati a Villalago, suo paese di origine, si intrecciano con le riflessioni relative alla nostra contemporaneità. 

Dunque due generazioni, ma anche due epoche a confronto. È quanto emerso anche dal convegno “Il volo dei bambini e il sogno degli anziani”, che si è tenuto nel corso della stessa giornata a margine della presentazione e che prende spunto proprio dal libro. 

L’intero evento è stato curato dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici. A moderare il dibattito la Presidente dell’AIMC Abruzzo dott.ssa Ada Di Ianni. Tra i relatori, l’editore dott. Simone Lupi e la dott.ssa Carla Galante. 

In qualità di insegnante e di socio AIMC, nel corso del mio intervento all’interno del convegno, ho sottolineato come il grande merito di Di Ianni sia quello di aver attualizzato una dimensione filosofica come quella del dubbio. Il dubbio concepito dall’autore vuole essere sia dubbio metodico, in quanto traccia un percorso procedurale, che iperbolico, in quanto si adatta a vari aspetti della nostra società. 

Daniele Rossi durante il suo intervento

La bellezza dell’opera risiede proprio nel confronto intergenerazionale. Una chiave di lettura molto profonda e ricca di spunti di riflessione. Del resto Enea Di Ianni ne ha forgiate tante di generazioni, prima come dirigente scolastico e poi nell’ambito dell’associazionismo, dove ha sempre lasciato un segno tangibile da grande leader partecipativo. Il volo dei bambini è un volo a cui noi adulti troppo spesso recidiamo le ali. Questo perché andiamo inconsapevolmente a restringere i loro spazi di libertà e di espressione. Di fondo siamo condizionati dall’adultismo: ad emergere è solo la prospettiva dei “grandi”.

 Del resto gli studi sull’infanzia sono iniziati molto tardi nella storia, solamente a partire dall’Ottocento. Prima l’infanzia era legata solo ed esclusivamente al racconto degli adulti, che rivivevano i momenti belli trascorsi da bambini sul filo dei ricordi. Con il passare del tempo c’è stata una presa di coscienza, oggi su questa tematica all’interno dell’agenda dell’Unione Europea sono presenti due macro-obiettivi: rispetto per le infanzie e lotta al precocismo. Quest’ultimo aspetto in virtù del fatto che, sia nei contesti scolastici che all’interno dei nuclei familiari, si tende a pretendere eccessivamente, non rispettando i tempi di crescita dei più piccoli. Dall’altra parte, il sogno degli anziani è un sogno che abbiamo tutti noi: quello di restituire un ruolo da protagonista a queste persone, ridandogli voce in capitolo.

 Nella storia gli anziani erano collocati nelle posizioni di vertice della scala sociale, in quanto rappresentano i custodi della memoria e i depositari della saggezza. Nelle comunità delle popolazioni antiche venivano interpellati quando c’erano da prendere le decisioni più importanti. Oggi purtroppo c’è stato un rovesciamento di questa tendenza. Proprio l’autore del libro, Enea Di Ianni, in collaborazione con l’AIMC, ha avviato già da qualche anno il progetto “Attiva Nonni”, capace di andare ad operare sul campo, all’interno delle case di riposo. Il punto di incontro di queste due generazioni è rappresentato senz’altro dall’oralità. Infatti il racconto per sua natura avvicina, unisce, ha la capacità di creare legami. La pedagogia narrativa ci presenta un’identità plurale, dove diventa centrale la relazione con l’altro, nell’ambito del nuovo umanesimo. Jean Paul Sartre sostiene che “l’altro è un inferno, ma è un inferno senza cui non vivo”.

In chiave didattica un espediente molto funzionale è rappresentato dalla favola, che nei più piccoli riesce a creare contagio emotivo e immedesimazione nei personaggi. In ultima analisi, lascia in dote anche modelli etici da seguire. Nel mezzo di queste due generazioni si colloca una terza generazione, quella dei giovani, che paradossalmente vive oggi una crisi ancora più accentuata. Quello che balza all’occhio in maniera immediata è la grande dipendenza nei confronti delle nuove tecnologie. Senza dimenticare che il problema di fondo è la strutturazione del pensiero debole: oggi tutti sono in grado, secondo il libero arbitrio, di stabilire le categorie di bene e di male. Nella società del passato non era così, in quanto era in voga il pensiero forte, si agiva cioè in base a principi assoluti.

 Quella della società moderna è un’eredità che ci deriva direttamente dal postmoderno, che ha portato al crollo dei grandi capisaldi del Novecento, le grandi istituzioni come lo Stato, la Chiesa, la scuola e la famiglia hanno perso tanto peso specifico. Il rischio per i giovani è il disfacimento sociale, l’isolamento e il nichilismo. Aspetti che si amplificano a dismisura se pensiamo che quello che stiamo vivendo è un periodo storico difficile. Un’epoca di crisi tra guerra in Ucraina, crisi delle risorse energetiche e la pandemia, da cui stiamo cercando faticosamente di uscire. Tra le soluzioni e le vie d’uscita da trovare, una ce la consegna la pedagogia, che ci guida verso la riflessività. Questo vuol dire avere la capacità di rileggere le proprie esperienze e il proprio vissuto per far tesoro degli errori e capire quali sono gli aspetti su cui si può migliorare. Il resto deve farlo la scuola, che deve riprendersi necessariamente il proprio ruolo-guida. Deve farlo avendo al capacità di fare rete con gli enti e le agenzie educative del contesto di riferimento, proponendo il modello di scuola-territorio.

 Un piccolo input è arrivato sempre dall’AIMC, che a Sulmona ha realizzato il progetto “Cento Piazze”, di cui è stato artefice e promotore sempre Enea Di Ianni. In questo senso si è voluta riportare la scuola all’interno del quartiere, del vicinato, ricollocandola nella sua dimensione originaria che è quella di comunità educante.

Andando in controtendenza con quello che avviene oggi, dove il modello dominante è quello di scuola-azienda. Del resto il principio di istruzione dal basso è una delle peculiarità della stessa Associazione Italiana Maestri Cattolici, che è nata e si è sviluppata proprio con la finalità di alfabetizzare le masse dei contadini nella campagne laziali, nel periodo cruciale del dopoguerra. Solo partendo da queste azioni potremmo disegnare un futuro diverso rispetto alle premesse. Solo così i nostri dubbi si trasformeranno in certezze.

Daniele  Rossi

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