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“Voragine” di Ugo Evangelista, la Sulmona che non c’è più

Scritto da redazione

Bussi, 23 luglio- Una voragine. O se vogliamo un solco scavato tra passato e presente. Perché a volte è utile fermarsi a riflettere su tutti i cambiamenti che si sono succeduti all’interno della nostra società. Lo storico Palazzo “Franceschelli” a Bussi sul Tirino ha ospitato la presentazione del libro “Voragine” di Ugo Evangelista. L’evento è stato organizzato dall’associazione culturale “Parla la persona”, presieduta da Maria Derna D’Angelo, che ha moderato il dibattito. A cui hanno preso parte il Presidente dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici Abruzzo e Dirigente Scolastico, prof. Enea Di Ianni. Insieme a Daniele Rossi, insegnante e Consigliere regionale Aimc. I versi più significativi dell’opera sono stati letti da Giuseppe Ciacchera. I momenti musicali sono stati curati dal sassofonista Emilio Moscone. “Voragine” è una raccolta di poesie, legate in particolare al vissuto dell’autore. Ma soprattutto alla sua Sulmona. A quella Sulmona che oggi non c’è più. Una cittadina ben diversa da quella che faceva da cornice alle rivolte degli anni cinquanta, legate al movimento “Jamm’ mo”.

Che oggi deve necessariamente reagire alla crisi, ritrovando quello slancio vitale. Dall’alto della sua storia secolare, che si ripete attraverso i riti: la “Madonna che scappa”, il Venerdì Santo. E tutto quello che ha da sempre contraddistinto la cittadina ovidiana. Quella dell’autore si rivela essere anche un’amara riflessione sulla società contemporanea. Soprattutto per quanto concerne la famiglia: «Dopo aver festeggiato cinquant’anni di matrimonio, ho maturato una riflessione sulla famiglia. – spiega l’autore – Prima il matrimonio era una promessa per la vita. Oggi c’è malinconia per l’unione familiare sgretolata dal progresso. Verrebbe da dire, c’era una volta la famiglia unita… (sorride, ndr). Prima ci si raccoglieva tutti intorno al fuoco, eravamo ben tre generazioni diverse». 

 L’intera opera si snoda sul filo dei ricordi. Ugo Evangelista ha operato per oltre cinquant’anni all’interno della sua tipografia. È stato una sorta di “artigiano della parola”. La vocazione letteraria è arrivata dopo, in una fase successiva della sua vita. «Ho iniziato a scrivere poesie andando in pensione. – continua Evangelista – La mia prima poesia l’ho voluta intitolare “Chiedo scusa ad Ovidio”. Nelle mie opere non c’è un perché, c’è l’attimo. A volte dico, io sono un cronista..». Anche l’autore fa parte dell’Aimc di Sulmona. Inoltre il suo impegno nel sociale è proseguito con i “Donatori di voce”, nella produzione di audiolibri per non vedenti. Nel corso del mio intervento, ho fatto notare come nel testo la dimensione tempo sia dominante. L’opera è pervasa da un velo di nostalgia per il tempo che passa e cambia tutto quello che sta intorno a noi. Ma la dimensione tempo svolge anche un’azione edulcorante perché l’autore si culla sui suoi ricordi e ne viene fuori uno scenario fiabesco, riconducibile alla frase chiave “c’era una volta”.

 Che idealmente apre il “libro della vita” dell’autore. Altro elemento simbolo è il fuoco. A livello storico l’autore cita il fuoco di San Giovanni, che all’interno della cultura contadina celebrava il solstizio d’estate. Così come fece anche Cesare Pavese ne “La luna e i falò”. In entrambe le opere si realizza la trasfigurazione del ricordo in un simbolo. Attraverso il desiderio irrealizzato del ritorno alle origini. Strettamente connesso al concetto di irreversibilità: niente sarà più come prima. 

Così è la memoria che corre in aiuto dell’autore, cercando di far rivivere i miti giovanili. Ma il suo si rivela un aiuto solo illusorio, in quanto non riesce a restituire ai ricordi quella pienezza dei giorni migliori. Il ricordo esce così dalla dimensione sociale per abbracciare una dimensione più propriamente simbolica. Ma siamo all’interno di una prospettiva esclusivamente ideale. Così come è ideale anche la prospettiva del tempo ciclico della cultura contadina, che tende all’assoluto. Si configura così una sorta di sogno melanconico, caratterizzato da due livelli: la riappropriazione del luogo e la metamorfosi. Il fuoco può essere interpretato anche sotto un’altra chiave di lettura. È quella del fuoco della passione. Che nel libro si traduce in sacralizzazione del sentimento, attraverso l’unione matrimoniale e la famiglia intesa come istituzione. Una famiglia patriarcale ben diversa da quella di oggi, caratterizzata dalla fragilità dei legami. La passione amorosa ci conduce inevitabilmente all’interno della letteratura dannunziana. In particolare, focalizzando l’attenzione sul romanzo “Il Fuoco”. È il ritratto di una storia d’amore dove emerge la figura del poeta immaginifico, associato al concetto di superuomo. Ma anche ad un’acuta sensibilità dell’animo umano capace di farci vivere a pieno l’esperienza amorosa in tutte le sue sfaccettature. 

Daniele Rossi

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