
Sulmona,31 maggio-Da adolescente, tante volte mi è capitato di ascoltare il detto popolare –solo alla morte non vi è rimedio– e ricordo che ne traevo quasi compiacimento, mi pareva si trattasse di pronunzia passabile, non imminente, che consentisse respiro alla vita, ai sogni, ai desideri. Acclarato che l’età adolescenziale non è proprio la fase della vita in cui siamo più attendibili, sicuramente affascinanti ed imprevedibili, ma non certamente attendibilissimi, sarebbe il caso di rivedere il proverbio in questione, non fosse altro perché si è lasciato abusare.
Le morti comandate e consumate da manie di possesso o di potere a cui assistiamo, i femminicidi che tanto hanno preso piede, possiamo e dobbiamo decimarli, senza mai desistere dalla volontà di azzerarli. Il freno a mano dobbiamo tirarlo in più ambiti. Iniziamo ad aprire quelle porte di camerette dove covano e proliferano moltitudini di profili infetti contaminati.
Se un ragazzo poco più che maggiorenne uccide, significa che vi sono state delle infiltrazioni errate nel suo percorso educativo e di crescita, che alcune maglie della catena formativa o si sono rotte o non sono mai esistite. Dove ha potuto apprendere che una bambina che, i tempi moderni classificano come ragazza, o resta sua, o non potrà essere libera di scegliere ciò che vuole e come lo vuole? La risposta o non vi è, e quindi va scandagliato il tutto ed individuata o vi è, ma la ignoriamo perché richiederebbe impegni forti, cambiamenti di rotta significativi e mea culpa a iosa, da parte di famiglie, scuole, stato e abilitati all’educazione dei giovani.
Chi sostiene che i genitori non devono vestire le ridicole vesti di amici e di confidenti, viene additato come retrogrado, come non conoscitore dei tempi in corso. Da sempre dissento da queste strofette di convenienza. Fare il genitore, non credo debba richiedere, sempre, requisiti modaioli. Bisogna assumersi la complessità della pronuncia di alcuni no, educare ai ruoli che in alcune fasi della vita si compongono di autorità ed autorevolezza che non possono essere demandati ai social, alle mode del momento, al tanto lo fanno tutti. La diligenza del buon padre di famiglia e della buona madre di famiglia è molto più difficile ed implica una struttura caratteriale e affettiva forte e non accomodante. La morte della figlia di un’altra coppia non è una cosa che capita, le condizioni perché non capiti vanno create, ci si deve lavorare facendo i genitori non i compagni di merenda. Non è tutto passabile, non è tutto possibile, questo mondo che non conosce i no, ci sta portando a convivere con i femminicidi. Scrissi, poco più di un anno fa che le prime donne che baciano siamo noi mamme, torno a questionarci, chi più di noi mamme può educare i figli maschi all’affetto, al rispetto e al non possesso?
Martina, quando si è vista sola con il suo carnefice, non ha saputo che farsene di tutti quei sì che riempiono le nostre case, di tutto quel permessivismo e di tutte quelle giustificazioni e attenuanti che dopo ogni femminicidio dobbiamo sciropparci. Non dico che “mazz e panell fanno i figli belli”, ma un rispetto alla vita altrui non lo si può barattare con nessuna forma di leggerezza e di consenso.
Quando ho appresso che Martina era fidanzata con il suo assassino da quando aveva dodici anni mi sono sentita confusa. A dodici anni, in molti casi non si è avuto neppure il primo menarca, come si fa ad essere fidanzati, forse, a quell’età, ancora non si comprende bene, neppure il vero peso dell’amicizia, continuiamo ad asserire che i nostri figli alla fine della terza media non siano in grado di scegliere le scuole superiori da frequentare, come si può ipotizzare che possano vivere storie sentimentali? Perché adottiamo due pesi e due misure? Pochi anni di differenza, diventano un’infinità di anni se l’intervallo e fra i dodici e i diciassette anni, può accadere che la bambina venga introdotta in un mondo più adulto di cui ne subisce un fascino falsato, che le impedisce le reali percezioni di quella fase della vita in cui ancora non scopre bene sé stessa. Questo è stato un altro scippo che la vita di Martina ha dovuto subire, tutto in nome di una collettività che va sempre più triturando parti e tempi di esistenze, perdonaci, se puoi, anche per questo. A quanto accaduto non vi sono scuse che tengano, è accaduto perché non siamo in grado di creare percorsi sani, virtuosi e di crescita vera, dove un minimo di severità educativa e di piccole responsabilità andrebbero introdotte. Integrazioni e modifiche da apportare non per il gusto di farlo, ma per l’insito impegno morale verso il proprio figlio e la figlia di altri, per non dover trovarsi davanti all’irreparabile. Quando il proprio figlio uccide una bambina-ragazzina, solo perché questa ha osato dire basta, tutto è finito, tutto è irreparabile, solo la giustizia potrà fare il suo corso. Un prima più timorato e più contenuto farebbe giustizia alla tutela della vita stessa più di ogni indiscusso tribunale. Come possiamo aspirare ad avere uomini e donne che amano tessere ed intessere per una società sana, democratica e integrata se non siamo in guardo di distinguere cosa compete, a chi compete e quando compete? La crisi è collettiva, è un’emorragia di vite femminili di ogni età a favore di una corporazione maschile che siede sul trono del possesso, del decido io dove buttarti, del o sei mia o di nessun altro. Questa monarchia assoluta va convertita in una democrazia vera, dove il valore della vita di una donna, di una bambina o di un’adolescente non dipenda dalla pietra che, un uomo ineducato all’affetto, all’amore e alla condivisione, decida di scagliarle appena si volta per guardare alla libertà.
L’obbligo di frequentazione scolastica andrebbe alzato, non perché tutti si debba diventare scienziati rinomati, ben vengano altrettanti artigiani apprezzati, bensì perché i soldi in tasca e il concetto di essere un lavoratore fa sentire adulti e padroni del mondo e delle persone.
Questo dolore, come tutti gli altri lo dimenticheremo, Martina non sarà né la prima, né l’ultima! Ultimo e poco sarà sempre e solo il tempo, le energie e le competenze che dedicheremo a prevenire i femminicidi. Sicuramente abbiamo bisogno di formazione, anche noi genitori e non credo di esagerare se tra la parte pratica e teorica di questa formazione, per alcuni aspetti si ricorra ai cosiddetti “rimedi della nonna”. Meno mode, medo social, meno tendenze, meno giustificazioni meno fasi della vita mangiate o non vissute proprio, ci aiuterebbero a salvare vite.
Tendenzialmente la colpa di quanto accade è più diffusa di quello che pensiamo, un sì isolato, va ad ingrossare la moda dei sì collettivi, quando proviamo a dire un no dobbiamo lottare proprio contro quel mondo di sì che, in precedenza abbiamo rimpinguato con le nostre stesse mani. Quando un diciannovenne è convinto di poter decidere del respiro di una bambina, i sì detti sono sicuramente troppi!
Buon viaggio piccola Martina, voglia il cielo che ti ha accolto che, alla porta del paradiso non giunga nemmeno un’altra donna uccisa per mano di chi le ha raccontato una forma d’amore che non esiste. Ci spero, ma la vedo complicata!
Cesira Donatelli