Il richiamo al riscatto siloniano di Fontamara
di Sergio Venditti*

Castel di Sangro,11 maggio– L’Abruzzo di metà 800, parte integrante del Regno borbonico, ne costituiva però una realtà periferica, vista la sua conformazione montana, tanto aspra e così poco popolata, ma che ha dato i natali, tra gli altri, ad uno dei più grandi pittori italiani: Teofilo Patini(*1840-+1906). Lui era il terzo di dieci figli di Giuseppe, cancelliere del “Giudicato Regio”, divenuto poi notaio e di Maria Giuseppa Liberatore, di Roccaraso. Allora la sua Castel di Sangro, nel 1840 già si avvicinava ai 5.121 ab. del 1861, (data del primo censimento dello Stato unitario italiano), in cui visse un infanzia intensa, piena di ricordi, prima di trasferirsi già nel 1846 a Sulmona, per il lavoro del padre, conseguendo il diploma in “Belle Lettere”, con il latinista Leopoldo Dorrucci, nel 1855.
Dopo per completare gli studi si iscrisse all’Universita’ di Napoli,alla prestigiosa Facoltà di Filosofia, (allievo del famoso Prof. Bertrando Spaventa, originario di Bomba), che però presto lasciò per seguire la sua forte vocazione artistica, iscrivendosi nel 1856, alla locale “Accademia delle Belle Arti”, divenendo poi un allievo della scuola del grande pittore Filippo Palizzi.
La Regione e in particolare l’area dell’Alto Sangro, gravitava più sulla capitale Napoli e meno sulla Roma “papalina”passando per la grande provincia aquilana, dalla Piana del Fucino fino al capoluogo L’Aquila, già terra di esodo migratorio verso l’intera America del Sud.
Sul piano artistico, va evidenziato il periodo più creativo dell’artista, con un’opera emblematica del 1886 (un olio su tela) dal titolo evocativo di “Bestie da Soma”*, denunciando la terribile condizione di sfruttamento delle donne, con le altre due opere: “Vanga e Latte” e “L’Erede”, ne costituirà la famosa “Trilogia Sociale”, realizzata tra il 1880 ed il 1886. Il pittore autenticamente sangrino così scrisse: “Voglio rappresentare la sofferenza delle plebi contadine, dal nascere al morire”, dietro le foto dei suoi dipinti inviati al Prof. Enrico Ferri, insigne giurista dell’epoca , eletto deputato socialista nel Parlamento del Regno d’Italia.
A lui e a pochi altri, il Patini si sentiva vicino dopo i fervori garibaldini giovanili, ribadendo sempre questi valori, anche nei suoi anni aquilani, che hanno lasciato pure importanti opere in città. Così,la Prof.ssa Licia Lisei, storica dell’arte, ha scritto: “La sua arte Popolare”, accessibile a tutti, fu’ messa al servizio della causa dei lavoratori e delle povere genti rurali della, sua Regione, L’Abruzzo, e più in generale, di tutto il Meridione, del quale volle contribuire a far emergere a livello nazionale la tragica condizione”.
Ed ancora si narra della coerenza della sua fede di “testimone degli ultimi”, anche con un illuminante aneddoto, quando invitato dai Principi Colonna, a Roma, per affrescare il loro palazzo, lui rispose di preferire ” dipingere stracci e non corone”.

Per questo al di là del suo immenso valore artistico, dal verismo autentico, qui vogliamo abbinare questa grande figura di pittore ad un illustre scrittore come Ignazio Silone, che proprio con il suo capolavoro di “Fontamara”, decenni dopo, fu’ il cantore internazionale dei “cafoni”, dei diseredati e sfruttati: uomini e donne, dell’aspro entroterra dell’Abruzzo e Molise.
Lo stesso critico Antonio Gasbarrini, accosta il pittore all’intellettuale pescinese, che proprio nella prefazione del suo primo capolavoro, ne rende una mirabile immagine di denuncia, quasi illustrando le magnifiche tele del Patini: “In certi libri, com’è noto, l’Italia meridionale è una terra bellissima, in cui i contadini vanno al lavoro cantando cori di gioia, cui corrispondono cori di villanelle, abbigliate nei tradizionali costumi, mentre nel bosco vicino gorgheggiano gli usignoli. Purtroppo a Fontamara queste meraviglie non sono mai successe. I fontamaresi vestono come poveracci di tutte le contrade del mondo….. I contadini non cantano, né in coro, né da soli, neppure quando sono ubriachi, tanto meno (e si capisce) andando al lavoro. Invece di cantare, volentieri bestemmiano”.
In verità, quella immagine serena ed idilliaca dei contadini abruzzesi veniva trasmessa, già a metà 800, quasi come lascito dei versi dei famosi viaggiatori del “Gran Tour”, come il Lear e il Craven, che lo avevano attraversato, fino ad un’altra valle, al confine con la Ciociaria: La Valle Roveto. Qui il suggestivo borgo di Civita D’Antino, fu’ scoperto dal celebre pittore danese Kristian Zahrtmann, che vi iniziò una grande scuola estiva, ospitando tanti colleghi scandinavi, che ci hanno lasciato decine di magnifiche opere, in cui ritraevano le tradizioni più arcaiche, culturali e religiose di un intero popolo agreste, notato anche dal “Vate”, Gabriele D’Annunzio, che a Venezia lodò proprio il dipinto “Processione di San Lidano”, del Maestro K. Zahrtmann.
Queste ora sono state pienamente valorizzate dagli studi del Dott. Antonio Bini e del Prof.Nicola Mattoscio,Presidente della Fondazione PescarAbruzzo, che ospita una magnifica collezione di opere.
Ora pero’, dal 5 maggio 2025, a 185 anni dalla nascita, Teofilo Patini torna a Castel di Sangro, con le sue spoglie che riposavano a Napoli e con sei splendidi dipinti, avuti in prestito decennale, da banca “Intesa San Paolo”, che ne detiene la proprietà.
Un grande successo in primis da scrivere all’Amministrazione comunale, guidata dal Sindaco e Presidente della Provincia dell’Aquila, l’Avv. Angelo Caruso (V.P. dell’UPI), insieme al Dott. Pasquale Del Cimmuto, Direttore della Pinacoteca Patiniana”, ora arricchita da questi nuovi capolavori:
- Scena patrizia del mio paese;
- Cristo orante nel Getsemani*;
- Maddalena ai piedi della croce;
- Interno col bimbo in culla;
- Il buon samaritano;
- Il ciabattino.
“Per Patini…il realismo,la trasfigurazione di una realtà diversa toccata dalla grazia di un controllato diapason lirico,uscirà dalle strette righe della cronaca spicciola e sarà elevato al rango di epopea”. (Libro: Artisti ed Arte in Abruzzo).
*Giornalista, Rivista “Tempo Presente “-Abruzzo