
“Sottoposto a tampone il 17 novembre scorso- racconta Nardella– a B.V. gli viene refertato un esito dello stesso con la dicitura “dubbio” salvo poi risultare negativo 5 giorni dopo allorquando veniva nuovamente sottoposto a test molecolare. Già allora la paura pervase l’animo di B.V.,preoccupato come era( e come lo sono tutti coloro i quali vengono attinti da questa sentenza) delle possibili conseguenze che tale morbo avrebbe potuto causargli. Il tutto senza contare il fatto che l’isolamento in casa ( e sarebbe stata già la seconda volta visto che ad Aprile ha dovuto sottostare a 14 giorni di isolamento fiduciario) avrebbe di lì a poco preso il posto di quella libertà che, ovviamente, nessun uomo e per nessuna ragione al vorrebbe rinunciare. Tutto questo avveniva, inoltre, quando il dramma del covid all’interno del carcere di Sulmona non ancora si compiva e, soprattutto, quando non ancora si sapeva di due cinquantanovenni deceduti per Covid tra la fila di poliziotti penitenziari abruzzesi (seppur uno di questi in quiescenza). Ma la situazione più eclatante e drammaticamente vissuta da B.V. doveva comunque ancora presentarsi. L’11 Gennaio il poliziotto- aggiunge- si sottopone, per via del protocollo attivato tra Asl ed Amministrazione penitenziaria, a nuovo test. Questa volta l’esito risulta ancora più drammatico. a B.V. gli viene attestata la positività al Covid.

Per lui, neanche a dirlo, è l’inizio di un ennesimo, anche se più mal digerito, calvario personale. Questo per via dello stato d’animo stressato dai turni pesanti effettuati in conseguenza della sua professione svolta e notevolmente appesantiti dalle tregende che hanno caratterizzato, negli ultimi tempi, il clima penitenziario sulmonese in particolare ed abruzzese in generale. Di Covid come si sa si può anche morire e questo il basco blu sulmonese lo sa benissimo. Tuttavia quello che viene poco considerato, stando a quello che lo stesso B.V. riferisce, è la paura che si vive quando l’esito che ti viene comunicato porta la nefasta dicitura : “positivo” o “dubbio”.
Solo chi è chiamato a sopportarlo di persona può capire cosa significhi essere etichettato quale soggetto affetto da coronavirus. Il tutto senza contare i risvolti personali, famigliari e anche in termini di procedure amministrative che tale condizione comporta.
