Nonostante le difficoltà e le preoccupazioni legate all’andamento della pandemia il direttore artistico del “ Maria Caniglia” non ha dubbi perché Sulmona sarà protagonista di una stagione dai grandi numeri.Lo abbiamo voluto incontrare per farci spiegare la sua “ ricetta”

Sulmona,10 gennaio– La morsa dei contagi da Covid 19 torna a stringere il territorio con una nuova e pungente variante, minando la già altalenante condizione lavorativa dei settori culturali. La resilienza dignitosa dei lavoratori del settore teatrale ha già prodotto, lo scorso anno, grandi risultati permettendo il battesimo di iniziative sempre nuove.
Andare a teatro è davvero pericoloso ai fini di un ipotetico contagio da Coronavirus? Per sciogliere ogni dubbio Il Corriere Peligno ha incontrato il Direttore Artistico del teatro Maria Caniglia di Sulmona Patrizio Maria D’Artista.
“Veniamo dalla chiusura della stagione di prosa 2021 che è stato il battesimo del progetto <<Teatro Maria Caniglia Teatro di Produzione>>. È stata una stagione estremamente impegnativa in quanto si è sviluppata seguendo l’evento pandemico ma siamo riusciti a portare a casa tutti gli obiettivi preventivati e progettati. Abbiamo accettato il progetto a gennaio 2021 quando tutto lo spettacolo dal vivo era stato travolto dalla pandemia e non si avevano certezze sul futuro prossimo. Attualmente stiamo gestendo la seconda edizione del progetto, che è attualmente nel vivo e che risente, di nuovo, della situazione attuale di precarietà. Ad ogni modo mi sento di dire di essere soddisfatto dei risultati ottenuti; abbiamo conquistato la fidelizzazione del pubblico, c’è tanta partecipazione rispetto al periodo storico che stiamo vivendo: c’è sempre una media di 300 persone a spettacolo”.
Quindi, Il teatro è un luogo sicuro? Senti di dover tranquillizzare il pubblico e la cittadinanza?
“Assolutamente sì, il teatro è un luogo sicuro. Non sono un medico, sono un operatore che vive il teatro e fa rispettare le regole delle strutture che amministro, poiché ho la direzione di più di un teatro. A teatro si entra con tutti i dispositivi di protezione, con green pass rafforzato, non c’è possibilità di sostare in aree comuni se non per il deflusso e l’accesso delle persone. Dopodiché si sta seduti ad assistere allo spettacolo. Il pubblico del teatro è un pubblico estremamente educato. Non ci sono momenti di difficoltà, le strutture sono grandi con tubature sicure. Non c’è stato nessun caso di focolaio in nessun luogo di cultura, questo è un dato di fatto. Quindi, il teatro non è uno di quei luoghi in cui si può contrarre in virus. Si sta strutturando un allontanamento dal contesto sociale. Si genera il meccanismo di pensiero secondo il quale non si va a cinema o a teatro perché c’è Netflix da casa. Non è così, il cinema e il teatro sono opportunità di partecipazione, di coesione, è l’essere parte di una città”.
Sulmona ha assistito alla metamorfosi di un Teatro Maria Caniglia spogliato delle vesti di assopito spettatore e vestito del ruolo di attore protagonista. Cosa auspichi per il futuro culturale Sulmonese?
“l’idea di teatro a Sulmona ha avuto in questo anno di espandersi in altre direzioni. In passato ci sono stati appuntamenti molto interessanti come quelli organizzati dai colleghi della Camerata Musicale Sulmonese ma non c’è mai stata una direzione su ciò che il teatro potesse offrire, soprattutto nell’ambito della prosa e di tutti gli ambiti ad essa collaterali. Il ruolo sociale del teatro è molto importante. A tal proposito sono particolarmente emozionato nel ricordare le serate dell’8 e 9 gennaio, date che segnano il debutto de <<Il grande Inquisitore>> all’Off/Off Theatre di Roma. È la prima produzione del teatro Maria Caniglia di Sulmona ed entrare nel teatro romano e vedere il simbolo della nostra città sulle locandine è fonte di grandissimo orgoglio. Vedo un teatro che sia sempre più in grado di comunicare con la propria città e che sia in grado di esportare qualità e contenuti anche oltre i suoi confini. Auspico un futuro di stabilità nell’azione amministrativa della struttura e delle stagioni al suo interno”.

Sabato 15 gennaio ci sarà il debutto Sulmonese de “Il grande Inquisitore” tratto dal romanzo di Dostoevskij “I fratelli Karamazov”. Perché la cittadinanza dovrebbe assistere a tale spettacolo? Quali sono le novità rispetto ad una tradizionale trasposizione su palco di un classico della letteratura?
“Questo spettacolo è un cambiamento di rotta per il nostro teatro. È la prima volta, nella stagione della prosa che il teatro Maria Caniglia produce con il suo marchio uno spettacolo e lo fa in occasione dei 200 anni dalla nascita di Dostoevskij; lo fa con la regia dello straordinario Daniele Salvo, allievo di una delle firme del firmamento del teatro italiano Luca Ronconi. Lo spettacolo è stato creato in collaborazione con il Centro Studi Ivanov-Roma, l’alto patrocinio dell’ambasciata russa, con il contributo di Gazprombank e con Fahreneit451 Teatro e Mulino ad arte. Il teatro di Sulmona è entrato a far parte di una rete ed esce fuori dal contesto puramente locale della sua attività. C’è stato un cambio di passo ottenuto con estremo impegno all’interno di un periodo storico molto complesso. Esserci è una questione di rispetto nei confronti di tutti i lavoratori che stanno resistendo, non solo a Milano o Napoli ma a Sulmona!”.
Per chi conosce la trama del romanzo di Dostoevskij si percepisce la sempiterna contraddizione tra la coscienza decisionale e la volontà di un sollievo da tale tormento e poi c’è questa aspirazione nei confronti del libero arbitrio. Questa condizione rispecchia in un certo qual modo la società moderna e in quale misura?
“Rispondo a questa domanda riportando i commenti dei critici e del pubblico che hanno acclamato questo spettacolo a Roma. Ad oggi ho una bellissima rassegna stampa di giornali di tutta Italia che ne parlano. È uno spettacolo che tocca anche quelle che sono le problematiche della nostra società. Questa è la grandezza di un autore come Dostoevskij, il fatto di essere, come Ovidio, estremamente attuale in ogni opera. Ci sono delle tematiche che rispecchiano il nostro presente e hanno dato la possibilità al pubblico di sviluppare un pensiero critico. L’assunto del racconto che fa Dostoevskij su questo capitolo è: Cristo torna sulla Terra dopo 1500 anni e viene condannato a morte. Si parte da questa immagine così contradditoria, da lì nasce una disquisizione sul peso della libertà che ogni uomo spesso non riesce a sopportare. L’allestimento della scena è molto essenziale, Dostoevskij non aveva bisogno di nessun effetto speciale, la parola è la protagonista ed entra direttamente nell’anima”.
Chiara Del Signore